Almanacco del Giorno Cent'anni di solitudine - Almanacco
Voce dell'Almanacco del 15 dicembre, per la rubrica 'Angolo Lettura'. Evento avvenuto 10 anni fa. Consigliamo questa settimana il libro, scritto da Gabriel Garcia Marquez nel 1967, "Cent'anni di solitudine". Una storia...

Angolo Lettura

Cent'anni di solitudine


domenica 15 dicembre 2013 (10 anni fa)

Cent'anni di solitudine: Consigliamo questa settimana il libro, scritto da Gabriel Garcia Marquez nel 1967, "Cent'anni di solitudine". Una storia incentrata su sette generazioni della famiglia Buéndia, una famiglia colombiana.

Josè Buéndia, capostipite della famiglia con sua moglie Ursula Iguarán, sono i fondatori della città di Macondo, palcoscenico atemporale e estremamente sintomatico degli avvenimenti generazionali della famiglia. La storia non è lineare e, nonostante il susseguirsi di personaggi e vicende, tutto resta sempre sostanzialmente invariato, tra leggende, realtà e folklore.

Un romanzo in cui domina un realismo magico, in cui la linea di demarcazione tra mondo dei morti e dei vivi non è nitida. "Cent'anni di solitudine" è il capolavoro che nel 1982 aiutò l'autore ad ottenere il premio nobel per la letteratura.

Di seguito un breve brano tratto dal romanzo: «Si sentì così vecchia, così sfinita, così distante dalle ore migliori della sua vita, che dimenticò perfino quelle che ricordava come le peggiori, e soltanto allora scoprì quanto le mancavano le folate di origano nel porticato, e il vapore dei rosai al crepuscolo, e perfino la natura bestiale degli avventizi. Il suo cuore di cenere compressa, che aveva resistito senza vacillare ai colpi più pungenti della realtà quotidiana, crollò ai primi assalti della nostalgia. La necessità di sentirsi triste si andava trasformando in lei in un vizio mano a mano che la devastavano gli anni. Si umanizzò nella solitudine. Tuttavia il mattino in cui entrò nella cucina e si trovò davanti a una tazza di caffè che le offriva un adolescente ossuto e pallido, con un bagliore allucinato nello sguardo, la lacerò la zampata del ridicolo. Non soltanto gli rifiutò il permesso, ma da allora conservò le chiavi di casa nella borsa dove conservava i pessari non ancora usati. Era una precauzione inutile, perché, se lo avesse voluto Aureliano sarebbe potuto scappare e persino tornare senza essere visto. Ma la prolungata clausura, l'incertezza del mondo, l'abitudine di ubbidire, avevano inaridito nel suo cuore i semi della ribellione. Di modo che tornò nella sua clausura, a sfogliare e risfogliare le pergamene, e a ascoltare fino a notte fonda i singhiozzi di Fernanda nella sua stanza da letto. Una mattina andò come al solito ad accendere il fuoco, e trovò
sulle ceneri spente il cibo che aveva lasciato per lei il giorno prima. Allora si affacciò nella camera, e la vide distesa sul letto, coperte con la cappa di ermellino, più bella che mai, e con la pelle trasformata in una maschera d'avorio. Quattro mesi dopo, quando arrivò José Arcadio, la trovò intatta».

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